giovedì 24 gennaio 2008

Gatto, Pao e quei ragazzi del muretto Corriere della Sera

Gatto, Pao e quei ragazzi del muretto Corriere della Sera

Il ragazzo del muretto s'è fatto grande. È diventato un artista quotato, lavora in studio e su commissione, ha sviluppato il suo «discorso», fa «solo pezzi legali». Pure il nome di strada è diventato un marchio di qualità. Gatto. «Ho iniziato a dipingere a sedici anni, per gioco. Frequentavo il muretto di piazza san Babila, con gli altri del giro». Gli altri: breakers, skeaters. E writers, come Gatto, la fissa della firma con stile e a ogni costo. Fenomeno clandestino d'importazione, risse per difendere l'onore della crew, inseguimenti stile poliziesco ma anche «movimento artistico giovane e meritocratico, allora». Oggi: Gatto ha 34 anni e il suo mondo «è diventato un sistema», per di più «screditato», dove i ragazzini non li tiene nessuno e i figli di papà sono pure raccomandati. Il sistema tiene dentro i vandali d'amore da Tvb sui monumenti («Non c'è più etica»), le gang sudamericane, gli annoiati e i modaioli, i duri che bestemmiano i venduti e li cancellano dai muri. I venduti, poi, sarebbero i colletti bianchi della bomboletta, gli street artist passati dai tunnel del metrò alle gallerie del centro e di lì alle mostre, ai musei, alle aste. E pure alla tv. Primo lotto in seconda serata: uno Schifano, un Rotella e un Martini, non Arturo ma Rae, padre della old school milanese. Writer d'antan.Evoluzione d'un fenomeno. Ultimo libro sul «Marketing non convenzionale », pubblicato dal Sole 24 Ore: in copertina, un panettone stradale in cemento trasformato in pinguino. Autore: Pao, 30 anni. Professione? «Bah. Artista, o uno che campa di creatività ». Per quei pinguini da prima pagina, Pao s'è beccato una sfilza di denunce dal 2000 in poi, animali disegnati senz'autorizzazione, multe contestate perché «decoravo, non imbrattavo» mentre per il fisco lavorava in teatro con Dario Fo e Franca Rame. Scenografo in fuga dalla municipale, ha mollato le tournée e ha ascoltato i consigli sul blog: «Coloraci la città, strappala del grigio». La passione è diventata un lavoro. Per lui e molti altri. Stand nelle fiere, uffici e aziende, campagne pubblicitarie. Pao ha pure una linea d'abbigliamento in produzione, complimenti: «La strada è un'ottima scuola, anche meglio delle accademie». Una sua tela, un metro per un metro, vale 3 mila euro. Di pinguini non se ne vedono più. Rimossi o rubati, cimeli da collezione. Le multe sono prescritte. La scena milanese nasce in piazza san Babila. I ragazzi del muretto sono gli adolescenti dei primi Novanta, il sogno americano trasmesso da Videomusic, cultura hip hop da New York. Arte, musica e skateboard con un fuso orario di vent'anni. Le crew, i gruppi, nascono attorno ai migliori. Delta, Tdk, Raptus. Il writing è l'alternativa ai rave party ma illegale uguale. La prima scuola di strada «gira attorno all'evoluzione della lettera».
Le jam (sessioni) di tagging (firme) e bombing (disegni) sono appuntamenti «per chi sta nell'ambiente», non si comunica ancora via email, vale il passaparola. Cavalcavia, aree dismesse, fabbriche di periferia. Il codice, per un popolo pur sempre di fuorilegge, è: si colora il brutto, secondo regole architettoniche e matematiche. Dura poco. Dal 1995, l'élite diventa moda. La new school si mette addosso le griffes e contro i vecchi. Pubblicità e faide. È finita anche questa stagione. Oggi ognuno va per conto suo. Schegge impazzite. O quasi. Le crew di Milano sono una decina. Le più note: Bn, Thp, Tdk, Mpm, acronimi da sciogliere su MySpace, YouTube e Facebook. C'è di tutto. Forum, reportage dalle incursioni in stazione, dritte sui muri senza telecamere. Il Web è la nuova piazza san Babila, i ragazzini comunicano così, doposcuola virtuale prima dell'uscita da guerrieri della notte. «Figli delle periferie e delle famiglie bene, senza distinzioni», dice la polizia. I più s'accontentano del portone vicino casa, gl'irriducibili s'infilano nei mezzanini, conoscono i (pochi rimasti) varchi scoperti, strisciano di vernice i tram nei depositi Atm e i treni Fs sui binari morti. Filmano e fotografano tutto, si appostano il giorno dopo per godersi i vagoni. E se capita scappano, inseguiti dagli agenti di stazione. E se va male le prendono, «ecco gli schiaffi che non ti dà mamma». A questo ragazzo di 23 anni han detto così, ha gli zigomi viola e la faccia gonfia: «Non m'importa, è un rischio che metto in conto. Vuoi mettere l'adrenalina, la sfida». È illegale. «Sì, ma è pure uno schifo che tutti parlino di graffiti quando i problemi veri sono delinquenza, pedofilia, droga. I graffiti sono uno sfogo, una necessità. Il treno, poi, è unico».

E pericoloso. Questo writer lo sa, conosceva Marco, il quattordicenne che per la tag è stato folgorato da 750 volts nella galleria della metropolitana, nel 2002. Morto. Eppure «non ho mai pensato di smettere». Vuoi mettere l'adrenalina. E quelli che vanno in mostra? «Venduti. E basta». Oppure sono cresciuti, e basta. Come Barry McGee, un idolo nel genere, dal metrò agli altari dell'arte contemporanea. La mostra del 2007 a Milano è stata Street Art, Sweet Art, al Pac. Settantamila visite per graffiti, tele e installazioni di giovani writers. Due tele di Bros e Ozmo hanno chiuso pure la mostra Arte Italiana, a Palazzo Reale. Nella stessa collezione: Gnoli, Serafini, Testori e «la nuova figurazione italiana». La loro. Bros si chiama Daniele, ha 26 anni, è stato denunciato un mese fa in flagranza di reato, le mani sporche di vernice: «Dipingo da dieci anni, prima solo sui muri ora anche su altri supporti». Alla base, «la mia personale ricerca stilistica» che vale una quotazione di 3.2 e un posto tra i cento giovani artisti più promettenti dell'anno. Gionata, alias Ozmo, anni 32: «Ho in città la stessa attitudine surrealista portata in galleria». Ha firmato un mega murale su strada in ricordo di Carlo Giuliani, cita l'irrappresentabile di Carmelo Bene ha alle spalle alcune personali. Rae si è «ritirato dall'attività illegale» nel 2002, l'anno scorso ha venduto 140 quadri, opere da 12 mila euro. E i ragazzini d'oggi? «Scrivono ma non sanno perché, hanno perso la matrice culturale, gli resta quella modaiola. Il risultato è scadente». Ci vediamo tra dieci anni.

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